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ORDINAZIONE SACERDOTALE DI DON ANDREA PACELLA E DON GIUSEPPE NUSCHESE

CAVA 30 GIUGNO 2017 – CONCATTEDRALE

Carissimi, la nostra Chiesa diocesana è in festa per l’ordinazione di due nuovi presbiteri: don Andrea Pacella e don Giuseppe Nuschese.
È un momento di grande esultanza ed emozione non solo per gli ordinandi, le loro famiglie, il presbiterio, le comunità parrocchiali di origine e di servizio pastorale, ma è un evento significativo anche per me, nel XVII anniversario della mia ordinazione episcopale.
Il mio ricordo va a quella calda ed indimenticabile serata, nella Cattedrale di Benevento, quando S. Em. il Cardinale Michele Giordano, insieme ai vescovi della regione, mi ammetteva tra i successori degli apostoli con la pienezza del sacerdozio.
Consacrare nuovi presbiteri è un evento che colma di gioia e di grazia. E’ un dono del Signore, è un segno della sua benevolenza che chiama nuovi operai per la sua vigna e trova giovani generosi a seguirlo.
Saluto in particolare il Reverendissimo P. Abate della Badia di Cava, Dom Michele Petruzzelli, i Reverendi Presbiteri, i parroci, i diaconi, i religiosi ed i fedeli delle comunità parrocchiali presenti.
Saluto Antonio ed Elena, genitori di Andrea e Raffaele e Flora, genitori di Giuseppe, che hanno accolto e accompagnato il cammino vocazionale dei loro figli.
Don Andrea, laureato in scienze politiche all’Unisa; da sempre impegnato nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Dragonea, dopo varie esperienze lavorative, si è formato al Seminario Metropolitano “S. Giovanni Paolo II” di Pontecagnano e ha svolto il suo ministero pastorale presso la parrocchia di San Pietro di Cava.
Don Giuseppe, dopo un’esperienza parrocchiale e diocesana, e un periodo di volontariato con l’Unitalsi e aver conseguito il diploma di geometra, si è formato nel Seminario arcivescovile “Ascalesi” di Napoli. Ha svolto ministero pastorale presso le parrocchie di Sant’Arcangelo e di San Vito di Cava.
La Parola di Dio, ascoltata nella liturgia, ci illumina sul senso della chiamata e della missione che il Signore ci affida.
La prima lettura ci ha raccontato la vocazione del profeta Isaia. La scena è maestosa e si svolge nel tempio: Isaia vede il Signore seduto su un trono alto ed elevato, con attorno i serafini che proclamano la sua santità. Il profeta avverte la sua impurità e fragilità. “Ohimè! Io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure”. Ma un serafino con un carbone ardente, che aveva preso con le molle dall’altare, purifica le sue lebbra. Poi udì la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”.
Ed Isaia rispose: “Eccomi manda me”.
Vocazione e missione sono due termini correlati, il primo è in funzione del secondo in quanto ne è la premessa e la giustificazione. Per Isaia, scoprire la santità di Dio e la sua gloria universale diviene la base della sua vocazione. Come la corrente rende luminoso ed incandescente un filo, così Isaia è stato attraversato da quella corrente che lo ha investito nel tempio. Isaia che ha contemplato il Signore, si rende disponibile per collaborare alla sua opera.
Il Vangelo ci ha raccontato la vocazione dell’Apostolo ed Evangelista Matteo.
La scena è semplice e incisiva e si svolge a Cafarnao sulla piazza dove Levi era seduto al banco delle imposte. Gesù passando gli disse : “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì.
Come era avvenuto per Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo, sulla riva del Lago di Galilea, anche Matteo, subito lasciato tutto lo seguì.
Ci colpisce questa prontezza nel seguire Gesù. I discepoli sono affascinati e conquistati dal Maestro di Nazareth. Non sanno con chiarezza dove li condurrà questa scelta, ma hanno fiducia di Gesù e lo seguono.
Gesù è venuto non per i sani che non hanno bisogno del medico, ma per i malati. Egli non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.
Carissimi Andrea e Giuseppe, oggi anche voi come Isaia e Matteo, avete risposto solennemente alla chiamata del Signore. “Eccomi, Signore, manda me a lavorare nella tua vigna o nella tua messe. La mia mente, la mia bocca, le mie mani, il mio cuore, la mia vita, metto, Signore, a disposizione dell’edificazione del tuo regno. Desidero lavorare con te e per te.
Ed il Signore che sceglie e chiama operai al suo servizio, sicuramente non vi farà mancare il sostegno della sua grazia.
Il Signore Gesù che è il solo sommo sacerdote del Nuovo Testamento, volle scegliere, tra tutti i suoi discepoli, alcuni che continuassero la sua personale missione di maestro, di sacerdote e di pastore. Egli inviò dapprima gli apostoli e poi i vescovi loro successori, ai quali furono dati come collaboratori i presbiteri.
Carissimi diaconi, state per essere promossi all’ordine del presbiterato, con l’imposizione delle mani, la preghiera di ordinazione e l’unzione del sacro crisma, sarete configurati a Cristo sommo ed eterno sacerdote, sarete predicatori del Vangelo, pastori del popolo di Dio, continuatori dell’opera santificatrice di Cristo.
Ricordatevi che siete stati scelti fra gli uomini per attendere in favore di tutti gli uomini al culto di Dio.
Voi siete chiamati, sebbene in posizione di subordinata comunione con il vostro vescovo, ad adempiere la missione pastorale di Cristo. Per questo non cessate mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo, pastore buono, che è venuto non per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare quelli che erano perduti.
Martedì 20 giugno Papa Francesco, recandosi a pregare sulle tombe di don Mazzolari e di don Milani, a Bozzolo e a Barbiana, ha riconosciuto nel prete cremonese e nel prete fiorentino – spesso accomunati dall’epiteto di “disobbedienti” – due voci necessarie alla Chiesa, due parroci che hanno lasciato “una traccia luminosa”.
Carissimi don Giuseppe e don Andrea e confratelli tutti, in questa celebrazione di ordinazione desidero far riferimento alle recenti e autorevoli riflessioni di Papa Francesco sulla figura del sacerdote.
Don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, sono stati considerati tenacemente fedeli al messaggio di Gesù. Attraverso le loro biografie emerge il profilo del prete che cammina insieme alla sua comunità, al servizio dei poveri e dei lontani, impegnati sul fronte educativo. E con un messaggio spirituale che giunge sino ai giorni nostri.
Don Primo Mazzolari, il “parroco dei lontani”, non di un apostolato a tavolino, “ha vissuto da prete povero, non da povero prete”. E c’è una bella differenza. Era un prete che sapeva mettersi davanti, in mezzo e dietro al gregge: lui, e molti altri preti come lui, “hanno visto lontano”. Un parroco che sapeva immergersi nelle sofferenze della sua gente; che sapeva “uscire di casa e di Chiesa” per rivolgersi al cuore dei lontani; che sapeva farsi carico delle domande anche scomode dell’uomo e della storia del suo tempo”.
Ricordando le note parole di Paolo VI, “camminava avanti con passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro!”, Papa Francesco non ha taciuto difficoltà e amarezze sofferte da don Primo, ma ne ha lodato l’obbedienza vissuta “in piedi, da adulto”, invitando chi non abbia finora raccolto la sua lezione a “farne tesoro”.
Don Primo, un parroco innamorato di Gesù e del suo desiderio che tutti gli uomini abbiano la salvezza.
Diverso il tono e il contenuto dell’intervento dedicato a don Lorenzo Milani. Parlando di fronte a coloro che ne furono allievi, il Pontefice, ha rievocato la passione educativa del priore di Barbiana, anche lui, parroco dei lontani” e antesignano della sua “Chiesa in uscita”
Un prete che ha vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno dei fedeli, che il Signore gli aveva affidato. Con passione educativa, e nell’intento di risvegliare nelle persone l’umano per aprirle al divino.
Tutta l’attività educativa di don Milani ha la sua radice nella dimensione sacerdotale e ancora più profonda nella sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta.
Non basta essere dei buoni funzionari del sacro, ma occorre essere, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli.
“Cari preti, – esorta il Santo Padre – con la grazia di Dio, cerchiamo di essere uomini di fede, una fede schietta, non annacquata; e uomini di carità, carità pastorale verso tutti coloro che il Signore ci affida come fratelli e figli”.
Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture e abbandoni.
“Amiamo la Chiesa, cari confratelli, e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità”.
Carissimi fratelli e sorelle, accompagniamo gli ordinandi con l’affetto e la preghiera; preghiamo il padrone della messe perché chiami altri operai del Vangelo.
Cari giovani, siate attenti e disponibili ad ascoltare la voce del Signore. Se percepite la chiamata a collaborare con lui, siate generosi; non abbiate paura a dirgli di “sì”. E’ una chiamata seria ed impegnativa, ma anche affascinante e superlativa!
La Vergine Santissima, Madre del Buon Pastore, accompagni maternamente don Andrea e don Giuseppe nel loro ministero e ci ottenga nuove e sante vocazioni sacerdotali, consacrate e missionarie! Pregate anche per me, perché possa essere pastore secondo il cuore di Cristo.
Amen!
+ Orazio Soricelli
Arcivescovo

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