Paginetta per i catechisti: POSSIBILE! SOLO L’IO COME PRONOME PERSONALE!
TITOLO: POSSIBILE! SOLO L’IO COME PRONOME PERSONALE!: Carissimi/e catechisti/e, penso che ricordiamo con gioia i giorni della nostra infanzia trascorsi alla scuola elementare tra giochi, pianti, risa e litigate di pochi minuti; oggi voglio riportarvi con la mente a quando abbiamo imparato a memoria i pronomi personali: sappiamo tutti bene che i nostri cari insegnanti, tra esortazioni e rimproveri, ci hanno ben spiegato che non c’è solo l’io tra i pronomi personali, ma che essi sono ben di più. Così noi, parlando o scrivendo, abbiamo imparato a relazionarci correttamente con tutti gli altri, che ci sono intorno. Carissimi e carissime, non presumo affatto di darvi una ulteriore lezione di grammatica italiana, non ne sono capace e voi non ne avete affatto bisogno, ma vorrei soltanto con fantasia introdurmi nel semplice commento alla Parola di questa diciottesima Domenica del tempo ordinario, che ci prepariamo a vivere; con S. Ignazio di Loyola, che proprio nella settimana scorsa abbiamo ricordato, entriamo nel personaggio della parabola che racconta Gesù e ci rendiamo conto, subito, che il vero Maestro denuncia che quell’uomo ha compiuto proprio questo gravissimo errore, segnandolo in doppio rosso, perché il più dannoso: errore non solo di grammatica, ma soprattutto morale, di scelte di vita cioè; infatti, sembra proprio che nei giorni della sua scuola elementare egli abbia imparato, purtroppo, a coniugare solo il pronome personale “io”: io farò, io demolirò, io costruirò, io riposerò, io mi divertirò. Il guaio allora non è tanto dettato dal fatto che lui voglia anche divertirsi, udite, udite e che male c’è nel farlo santamente? Quanto invece solo dal fatto che nel suo “quaderno” di interessi e nel suo orizzonte di vita gli altri, Dio e la vita eterna sono totalmente assenti, non compaiono affatto, alle vecchie previsioni meteorologiche si sarebbe detto sono “non pervenuti”; sembra proprio che a lui degli altri non interessi nulla e magari possiamo immaginare che proprio alla sua porta, come già a quella di un altro illustre innominato di un’altra parabola evangelica, qualche povero giacesse mendicante e lui niente, non pensa proprio che, con tutti quei beni che ha tra le mani, possa vedere, commuoversi ed aiutare; invece, non entra per niente nella sua logica potersi aprire e fare qualche opera buona di amicizia e di carità; inoltre noi osiamo immaginare anche che, nel raccontare la parabola, Gesù abbia voluto dirci che quest’uomo dimostra di non avere neanche un’ombra di fede, perché non pensa minimamente che quel raccolto, seppure avrà lavorato tanto, l’ha ricevuto in dono da Dio, è stato un dono straordinario della Bontà e della Provvidenza del Padre Celeste, per cui bene avrebbe fatto innanzitutto a ringraziarLo e poi ad offrirGli la lode, insieme ad una parte di quei beni; e poi? Poi ancora bene avrebbe fatto, secondo il pensiero di Gesù, ad aprirsi alla comunità, sì, avete capito bene, alla comunità, quella tante volte oggi bistrattata, giudicata, rifiutata, umiliata, mortificata ed offesa. Lasciate che io non faccia l’avvocato delle cause perse, perchè non è tale questa questione, ma sento dal profondo del cuore di essere paladino dei valori umani e cristiani presenti nella comunità e donati attraverso la comunità: da essa, infatti, riceviamo tutti i grandi doni della fede, ma noi siccome siamo capricciosi, come e più dei bambini viziati, diciamo ancora oggi: io, io, io, io vado dove voglio, e come voglio, capito, mamma comunità e forse facciamo anche il gestaccio della lingua! Aiutaci, o Signore Gesù, a conoscere con il cuore che non ci siamo solo noi e Te, o Gesù: oh, come siamo belli! Oh, come è emozionante! Oh, come sarebbe bello il matrimonio presso quella chiesina lì, in quel posticino isolato da tutti, con quel sacerdote lì, sai quante lacrime! Convertici, Gesù a conoscere con la fede e la vita che negli altri ci sei Tu, che proprio in quel fratello o in quella sorella fastidiosa o nella nostra difficile comunità ci stai parlando Tu e che se il parroco ci ricorda le necessità e i bisogni della nostra comunità e richiama dolcemente il dovere dei cristiani a dare una risposta concreta, mi stai chiamando Tu e Tu mi stai dicendo che io mi devo scomodare, che la devo smettere una volta per sempre di notare solo il negativo degli altri e di non cogliere mai tutto quel buono che c’è nella gente semplice e nella comunità: devo smettere di giudicare e non apprezzare. Ma ditemi, o fratelli e sorelle, dove è la comunità perfetta? Dove la famiglia perfetta? Dove il parroco perfetto? Grazie, Gesù, perché oggi ci dici chiaramente di non essere piccini, piccini nell’animo, e di non cadere perciò nel gravissimo errore, non solo grammaticale, della piccineria e della pusillanimità e di pensare un po’ più in grande e più in là del nostro naso o del nostro ombelico o del nostro divano e di imparare a coniugare completamente i pronomi personali, come la grammatica italiana ce li consegna.
don Luigi