Paginetta per i catechisti: MA CHE CAPE TENE?
TITOLO: MA CHE CAPE TENE? Carissimi/e catechisti/e, fratelli e sorelle, nei nostri ambienti di vita certamente almeno qualche volta abbiamo sentito questa espressione; la usiamo soprattutto quando qualche persona, spesso nostro familiare stretto, comincia a distinguersi per un comportamento leggermente strano e per scelte per alcuni versi bizzarre e dalle motivazioni incomprensibili. A volte anche i padri si esprimono in questo modo nei confronti dei loro figli, quando le azioni che compiono non rispondono per niente alle loro attese ed ai loro criteri logici: in questo ambito poi facilmente possono scoppiare scintille, nelle quali non di rado in mezzo ci sono le nostre sante mamme… Ma ora non voglio dilungarmi affatto in una morale familiare, ma, da consuetudine, soltanto commentare nella luce dello Spirito la Parola delle quarta domenica di Quaresima, chiamata “della gioia”, che è andata purtroppo un po’ smarrita in questi difficili e per certi versi penosi e pensosi tempi. Iniziamo con una sorpresa: a sorprenderci, scusate la voluta ripetizione, questa volta è il Padre, con un atteggiamento che non ti aspetti; scriverei allora: ma che cuore tiene? Quali pensieri e sentimenti lo abitano? Quali ragionamenti gli frullano in testa per generare questa serie di azioni che stanno tutte sopra le righe? Per quale motivo recondito non riesce proprio a starvi dentro invece o, come è solito dire un mio amico, ad essere allineato e coperto? Sembra proprio che gli piaccia stare “fuori dal tunnel”, come avrebbe cantato il buon Caparezza; provo ora ad elencare questa serie di azioni extra o iper, di cui è protagonista: lascia partire il figlio, dotandolo di tutto quello che è giusto e, nonostante l’età non più giovanile, corre più veloce del vento e del figlio stesso per andargli incontro ed accoglierlo, visto che poi torna indietro, nonostante che lui abbia miseramente dilapidato tutto, divertendosi sfrenatamente; non contento, lo abbraccia, lo bacia, gli mette i calzari ai piedi, ordina ai servi che per lui che finalmente è tornato, si faccia addirittura festa; è un padre dai capelli bianchi, sì, ma ha motivi ancora per rallegrarsi col cuore e nel cuore, e stare lieto con gli amici e le amiche in un clima di gioia fraterna: si vede insomma che coltiva una fitta rete di relazioni comunitarie; alla sua festa non deve mancare nessuno, i suoi occhi mi sembrano tanto come quelli di Maria, che si accorge della mancanza di vino per gli sposi di Cana: lui invece nota subito quella dell’altro figlio, che non sta lì al primo divanetto, pronto a bere e mangiare e perciò, non contento per nulla, lascia momentaneamente la sala, in quanto per lui non è completa la festa se non c’è anche lui e se lui non è in sintonia con il cuore del padre, gioia nella gioia: esce alla ricerca quindi, si fa pellegrino, povero questuante di amore e di condivisione del vino della festa; da semplice itinerante senza dimora si mette a dialogare con il figlio, cercando di non far scivolare il giovane e la discussione sul terreno insidioso della fredda razionalità del calcolo o quella del dare e dell’avere o quanto più dei meriti e delle punizioni da dare o infine della debolezza legata ai ragionamenti “impastati” nel cuore. E’ bravo anche quando sale in Cattedra: lui non ragiona come ragiona il figlio; che abbia perso la testa? E’ strano il suo perfetto filo logico: per lui il figlio non ha trascorso il tempo di lontananza da casa spassandosela e godendosela, no, per lui si era semplicemente perduto, aveva perduto l’aria di casa, il profumo unico di quelle stanze e di quel clima familiare, dove anche i muri traspirano amore; poi ne spara un’ultima da far tremare i polsi o da farsi irridere maledettamente; aprite bene le orecchie: per lui questo figlio nel tempo di assenza era morto, ora sì invece, è tornato in vita, vicino a lui, al suo fianco in quella casa, con il cuore sul cuore a sentirne i battiti e le pulsazioni. Ma che “cuore” tiene?
Don Luigi, di questa casa, servo