S. Filippo Neri e S. Ignazio di Loyola compatroni di Amalfi
Il quarto centenario della proclamazione di S. Filippo Neri e S. Ignazio di Loyola compatroni di Amalfi (1622 -2022)
Il 12 marzo 1622 papa Gregorio XV proclamò Santi cinque grandi figure del cattolicesimo: Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Isidoro e Teresa d’Avila.
S. Filippo Neri e S. Ignazio di Loyola erano particolarmente venerati ad Amalfi tanto che nello stesso anno furono proclamati compatroni della località costiera.
Il 30 luglio 1622 il Capitolo amalfitano deliberò di supplicare il Vicario generale, Federico Conti, affinché proclamasse S. Filippo Neri protettore sia del Capitolo sia della Città per le tante grazie che concedeva la mano di Dio grazie alla sua intercessione. Inoltre chiedeva che fosse festeggiato come gli altri compatroni e destinato al suo culto un altare nella chiesa del Crocifisso. Il giorno seguente, 31 luglio, il governo cittadino presentò una richiesta simile affinché il Santo fosse annoverato tra i protettori del paese.
Le suppliche furono accolte dal Vicario, sebbene la data precisa in cui il santo fiorentino fu proclamato compatrono è ignota. I padri dell’Oratorio fecero dono alla chiesa amalfitana di alcune reliquie di S. Filippo, un frammento del fegato e il manico dell’abito. L’ingresso delle reliquie avvenne con una solenne cerimonia il 17 settembre 1622. Il rito ci è noto grazie ad una cronaca lasciataci dal notaio amalfitano Silverio Vinaccia.
Le reliquie, collocate in un busto dorato (oggi esposto al Museo Diocesano), furono portate da Napoli nella chiesa di S. Pietro a Cetara, allora confine orientale della diocesi.
Qui giunsero via mare vicario, capitolo, clero e numerosi fedeli amalfitani con trenta barche. Su una erano state poste le statue degli altri compatroni cittadini, S. Macario, S. Vito e i SS. Cosma e Damiano.
Vicario e Capitolo scesero a terra. Il busto reliquiario di S. Filippo fu messo in una barca, precisamente una feluca, su un altaretto coperto da un baldacchino con lampioni accesi. Il corteo di barche mosse in direzione di Amalfi. Il vicario e una parte del clero presero posto nella feluca con S. Filippo. La barca non avanzò a remi ma fu rimorchiata da un’altra dove erano le statue degli altri compatroni e il rimanente clero.
“Con grandissima festa suoni, canti, trombe, organo, tamborri, et disparare dall’archebuscieri, et dalle torre et castelle” S. Filippo fu calato nelle marine di Maiori, Minori ed Atrani, dove erano stati allestiti degli altari, al canto del Te Deum ed altre lodi.
Finalmente il corteo arrivò ad Amalfi salutato da spari dalle torri cittadine, suono di trombe e archibugiate, in una città illuminata da mille torce e tra una moltitudine di fedeli.
Due canonici portarono il reliquiario in processione sino ai piedi della scalea del duomo dove ad accoglierlo era la statua di S. Andrea. (si tratta di una statua precedente a quelle oggi presenti in duomo, non più esistente).
Il vicario in ginocchio pregò affinché S. Filippo proteggesse la città. I deputati del governo cittadino, Francesco d’Afflitto e Giovan Domenico Casabona ratificarono di nuovo il decreto di nomina a compatrono.
Il busto reliquiario fu collocato in un altare alla chiesa del crocifisso. La devozione ed i voti per il santo fiorentino accrebbero grazie a un avvenimento miracoloso accaduto lo stesso giorno. La mattina stava “lampando et tronando et piovellicando” ma appena le barche presero la via del mare alla volta di Cetara il tempo si rasserenò restò lucido il cielo, senza pioggia né tuoni ma con il sole con l’aria specchiata.
E’ probabile che il culto a S. Filippo Neri fu introdotto ad Amalfi da un sacerdote locale che esercitava il suo ministero nella congregazione dell’Oratorio di Napoli, padre Donatantonio Rosa (per approfondire leggi qui pp. 656 – 657).
Egli tre anni dopo l’ingresso solenne delle reliquie, nel 1625, fondò con alcuni sacerdoti amalfitani un oratorio filippino (per approfondire leggi qui) presso la chiesa di S. Maria Maggiore o Chiesa Nuova. Si insediarono in uno stabile di fronte alla chiesa che donò loro Ferdinando Amendola il 14 gennaio 1625 (oggi vi è un ristorante).
L’oratorio amalfitano ebbe vita breve. Nel 1655 vi erano solo due padri. L’anno successivo padre Donatantonio Rosa rassegnò le dimissioni nelle mani dell’Arcivescovo.
Nel settembre 1622 fu proclamato compatrono anche S. Ignazio di Loyola con lo stesso iter seguito per S. Filippo Neri. In questo caso fu il chierico D. Giulio Bonito a caldeggiare la nomina tramite il Capitolo per la grande devozione che la sua famiglia aveva per il Santo. Anche di S. Ignazio furono donate delle reliquie in un busto oggi esposto al Museo diocesano accanto a S. Filippo Neri.
Le reliquie dei due Santi, così come degli altri compatroni e di molti altri, nella prima metà del XVIII secolo furono tolte dagli originali reliquiari e collocate in altri busti di fattura simile oggi esposti nella cappella del coro.
S. Filippo Neri e S. Ignazio di Loyola sono stati festeggiati come patroni minori di Amalfi e di conseguenza con un ufficio divino particolarmente solenne di rito doppio maggiore (leggi qui per il significato) sino all’episcopato di mons. Angelo Rossini (1947 – 1965).
E’ opportuno segnalare che nel periodo in cui ad Amalfi vennero proclamati per compatroni i citati Santi fiorivano in tutta la chiesa tali iniziative che talora portarono a nominare anche semplici beati, non ancora cioè proclamati santi. Fu il caso, ad esempio, di S. Andrea Avellino, dichiarato compatrono della chiesa napoletana nel 1625 quando era solo beato. Per porre termine agli abusi e le troppo frequenti proclamazioni di patroni intervenne papa Urbano VIII nel 1630 con il Decretum pro patronis in posterum eligendis che tolse il potere di nomina alle diocesi attribuendolo alla Congregazione dei Riti dopo una rigorosa istruttoria.