Paginetta per i catechisti: UN PARTO CHE E’ DONO D’AMORE
TITOLO: UN PARTO CHE E’ DONO D’AMORE : Carissimi/e catechisti/e, una delle esperienze più forti e significative dell’uomo sulla terra è certamente quella del parto: esso comporta tanto dolore e nello stesso tempo dona tanta speranza; i genitori si riconoscono nei figli che nascono, i quali non scelgono di venire alla vita, ma la ricevono come dono gratuito ed inaspettato; essi, un poco almeno, continuano a rendere presenti i genitori nel corso degli anni a venire, attraverso la loro opera e la loro testimonianza. A me oggi queste pagine della Parola, che sottolineano particolarmente il tema della chiamata, fanno tanto pensare ed immaginare Dio come una grande Mamma, che “partorisce” nel parto della chiamata i suoi missionari. Innanzitutto essi, come avviene in natura, non si attendono di essere degni della chiamata: Amos lo esprime chiaramente; il suo compito era un’altro, nella vita lui aveva intenzione di compiere altre opere e di svolgere un’altro compito, ma il Signore invece per lui ha pensato alla missione ed egli si è sentito proiettato in un’altro mondo ed a compiere un’opera “non sua”; egli esprime la chiamata a non appartenersi, comunque partecipando ad essa in maniera attiva e rendendola attuale con la sua umile obbedienza. Anche i Dodici sono scelti inaspettatamente e scriverei anche immeritatamente e vanno, fidandosi solo di Chi li ha chiamati, cioè amati, pensati all’interno di un piano d’amore. Essi assomigliano tanto alla Madre che li ha partoriti: vanno a due a due, ricordando al mondo la Comunione d’Amore in Dio Trinità, che ha impresso in noi tutti la sua immagine, donandoci cioè tanta sete di comunione d’amore; inoltre chi accoglie loro accoglie Colui che li ha mandati ed essi continueranno la Sua presenza; nella chiamata ricevono quasi una nuova dignità, tanto che in loro si riconoscerà e li amerà in una maniera tutta particolare il Cristo, che li ha chiamati. Egli sembra non tanto preoccuparsi di quello che dovranno annunciare, mi sembra che non fa loro una scuola di formazione molto lunga dei contenuti dell’annuncio o stila un’ elenco infinito di prescrizioni da insegnare; dovranno solo “avviare il motore”, che se comincia a girare per il verso giusto, poi proseguirà da solo: annunciate la conversione, perché un uomo che vuole convertirsi, cioè cambiare mentalità e visione della vita e che perciò avvia il suo motore, poi sarà lui stesso un cercatore umile ed inquieto di verità. La stessa conversione perciò non assomiglia ad un pacco di verità da accettare e brandire con tutte le forze, ma ad una scelta di vita nuova da vivere al seguito di Gesù di Nazareth; e nell’andare, dice Gesù, non confidate nei mezzi da portare, né nelle vostre capacità o nelle vostre bravure, ma mettete tutto a servizio del Regno e preoccupatevi solo di andare; la missione è opera di Dio, in essa continua a vivere Lui, per cui lungo la strada essi sperimenteranno la potenza della sua Provvidenza; certamente non mancherà loro nulla, lungo la strada Dio provvede: la Provvidenza di Dio però sembra che la potranno trovare solo quelli che vanno, Essa li precede; se noi non andiamo, infatti, aspettando prima che le cose stiano tutte “a posto”, sfioreremo la Provvidenza di Dio, ma non La accoglieremo; la potenza della missione allora è la fede dei discepoli, che sanno con questa virtù che Gesù è andato già per le loro strade e non solo storicamente ma anche misteriosamente, prima di loro e si farà trovare, non li lascerà soli, non farà mancare loro nulla di quello che è necessario. Infine una parola in più sento di dire su questo stile di andare a due a due: la missione cristiana è uno schiaffo aperto e potente ad ogni forma di presunzione di sé e di individualismo, che ci può portare ad emergere, a metterci in evidenza, ad oscurare Dio, a sentirci protagonisti assoluti, o a rifiutare ogni forma di dialogo o di comunione all’interno della famiglia di Dio che è la Chiesa; anzi essa tante volte oggi è il frutto di una fiducia grande che la Chiesa Madre e partoriente ancora, ripone in noi povere creature; nell’andare noi non indossiamo una maglietta esterna a noi stessi, ma dall’interno di noi veniamo quasi trasformati nella nostra identità, assomigliando così a Colui che nella sua infinita Misericordia ci ha voluti partorire come missionari, nell’amore e nel dolore. A noi spettano solo due parole: mi fido e grazie.
don Luigi, servo vostro